L'amo-re.

Marco sapeva che Lucia l'avrebbe aspettato per tutta la vita.
Sarebbe sempre stata lì, pronta ad allargare le ginocchia e sollevare la gonna per farlo entrare con violenza nella sua vita mediocre, fatta di amici di cui si accontentava e di porte in faccia. Forse si sarebbe sposata, avrebbe avuto un figlio, un aborto naturale e un gatto castrato, ma sarebbe stata pronta a gettare tutto alle ortiche nel momento in cui Lui fosse andato da Lei.

Spesso lo sognava. Poi però appena apriva gli occhi dimenticava il sogno e di averlo sognato. Era una paicevole amnesia che le permetteva di respirare 24 ore in maniera involontaria e di regalarsi addirittura qualche sorriso a Natale e al cinema da sola. Non lo dimenticava mai così, ma non ricordava chi fosse. A volte dubitava addirittura che Marco esistesse.

Quando succedeva apriva il portagioie di legno, raspava con le dita tra la bijoutteria per fare un po' di scena e dopo qualche secondo afferrava con i polpastrelli l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica. Quello che si era comprata in Via dell'Unità, il 13 Dicembre del 2004. Lei sapeva che quello era il regalo di Marco, l'unico ricordo incosistente del fatto che lui esisteva davvero.

Si erano incontrati meno di due anni prima in una caffetteria. Lei era lì, cuffie e libro, caffé nero e bagel con la marmellata di eucalipto. Lui non c'era. Lei rimase una giornata intera a mangiare bagel, bere caffé leggere stancamente e finire con l'emicrania per il volume alto nelle cuffiette. E fu subito amore. Lei sapeva che Lui le avrebbe cambiato la vita per sempre, che le avrebbe fatto dimenticare il vuoto che le raschiava la carne, che tamburellava impaziente con le dita sulle sue ossa.

Per un po' era stata gioia. La gioia dell'attesa della felicità più grande che ti prende sotto le braccia, ti lascia sgambettare nell'aria fredda di Febbraio come se avessi cinque anni. E Lei non smetteva di pensarci. Ci pensava ogni giorno, la mattina e soprattutto la sera. Andava a letto presto, ma si addormentava tardi. Respirava forte, ma piangeva piano. Aveva il brutto vizio di mordicchiare gli angolini dei cuscini quando piangeva o di farsi venire il vomito dal nervoso.

Aveva comprato una gatta finita l'Università. Lei si chiamava Chiara, era una gatta molto intelligente e le piaceva il sapore del sangue. Portava topini, sogni e speranze tra i denti affilati, lasciandoli come regalo per Lucia sul tappeto d'ingresso. Qualche volta Lucia si arrabbiava, altre volte le grattava dietro le orecchie e diceva a Chiara che era una gatta molto intelligente ma che Marco amava i cani.
Non glielo aveva mai chiesto, ma Marco era quel tipo di persona che ami anche se non avete nulla in comune, che odia il tuo colore preferito e si addormenta quando gli mostri le foto della tua infanzia. Non poteva parlare con Lui del suo libro preferito o della sua passione per il formaggio di capra. Magari un giorno poteva accennarle che le piaceva ballare il charleston, perché lo aveva visto in vecchi film da piccola ma sapeva che Lui le avrebbe riso contro.

Ma lo amava, ed era ragione più che sufficente per essere felice della propria incompatibilità. Alcune volte Lucia aveva paura che Marco l'avrebbe dimenticata. Allora andava alla posta e imbucava una cartolina per Marco e una per se stessa. Spesso arrivava prima quella per se stessa che per Marco e la cosa la faceva piangere. Ma si diceva che doveva essere forte ed accontentarsi perché l'amore ha i suoi tempi e così anche il servizio postale. Lo fece tre volte a Ottobre, quattro a Dicembre e a Gennaio solo una. A Febbraio provò, ma non arrivò nulla, il postino si scusò dicendo che forse era andato perso a causa della tormenta.

Agli inizi di Marzo di quell'anno Chiara miagolava disperatamente. Aveva molta fame e aveva già ucciso tutti i topolini e le speranze e i sogni che crescevano nel giardino di Lucia. Aveva lasciato i corpicini scarnificati in fila sul tappeto, come in un'esecuzione fascista di un romanzo della Resistenza. A volte aveva pensato di lasciare Lucia, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Infondo lei era una gatta molto intelligente e sapeva che la sua padrona aveva bisogno di lei. Forse non ora. Ora e per qualche altra settimana sarebbe ancora rimasta lì. Ma presto sarebbero arrivati i vermi a scavarle le interiora e le mosche a mangiarle la faccia. Ma Chiara non lo avrebbe permesso perché la sua padrona stava aspettando il suo vero amore, Marco, di cui le parlava sempre. Diceva che Marco le avrebbe ridato la gioia che non aveva avuto mai. La sua famiglia e i suoi amici non avevano mai voluto veramente vederla felice, non avevano mai pensato di fare qualcosa solo per Lei. Ma Marco lo avrebbe fatto.

Chiara credeva a Lucia, aveva visto le lettere, lei gliele aveva mostrate, e aveva visto l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica che lei aveva nel porta bijou. Ora stringeva l'anello nella mano destra e le lettere erano sotto al viso, sgualcite e piene di rigangoli di inchiostro sciolto. La mano destra era penzoloni dal letto e Chiara ogni tanto ci passava sotto, per rubarle una carezza. Lucia gliene dava sempre tante. Doveva stare attenta perché la siringa vuota era rimasta incastrata alle dita e rischiava di farsi male. Era una gatta molto intelligente dopotutto e sapeva le cose del mondo. Conosceva i segreti dell'amore e l'importanza dell'amore vero. Sapeva che Lucia aspettava Marco, che l'avrebbe sempre aspettato. Avrebbe gettato figli, marito e gatto al vento per Lui.

1 volte dentro te.:

Il Riccio ha detto...

Tristezza :(
Da quanto tempo non venivo qui: sono cambiate tante cose.

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L'amo-re.

martedì 26 marzo 2013

Marco sapeva che Lucia l'avrebbe aspettato per tutta la vita.
Sarebbe sempre stata lì, pronta ad allargare le ginocchia e sollevare la gonna per farlo entrare con violenza nella sua vita mediocre, fatta di amici di cui si accontentava e di porte in faccia. Forse si sarebbe sposata, avrebbe avuto un figlio, un aborto naturale e un gatto castrato, ma sarebbe stata pronta a gettare tutto alle ortiche nel momento in cui Lui fosse andato da Lei.

Spesso lo sognava. Poi però appena apriva gli occhi dimenticava il sogno e di averlo sognato. Era una paicevole amnesia che le permetteva di respirare 24 ore in maniera involontaria e di regalarsi addirittura qualche sorriso a Natale e al cinema da sola. Non lo dimenticava mai così, ma non ricordava chi fosse. A volte dubitava addirittura che Marco esistesse.

Quando succedeva apriva il portagioie di legno, raspava con le dita tra la bijoutteria per fare un po' di scena e dopo qualche secondo afferrava con i polpastrelli l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica. Quello che si era comprata in Via dell'Unità, il 13 Dicembre del 2004. Lei sapeva che quello era il regalo di Marco, l'unico ricordo incosistente del fatto che lui esisteva davvero.

Si erano incontrati meno di due anni prima in una caffetteria. Lei era lì, cuffie e libro, caffé nero e bagel con la marmellata di eucalipto. Lui non c'era. Lei rimase una giornata intera a mangiare bagel, bere caffé leggere stancamente e finire con l'emicrania per il volume alto nelle cuffiette. E fu subito amore. Lei sapeva che Lui le avrebbe cambiato la vita per sempre, che le avrebbe fatto dimenticare il vuoto che le raschiava la carne, che tamburellava impaziente con le dita sulle sue ossa.

Per un po' era stata gioia. La gioia dell'attesa della felicità più grande che ti prende sotto le braccia, ti lascia sgambettare nell'aria fredda di Febbraio come se avessi cinque anni. E Lei non smetteva di pensarci. Ci pensava ogni giorno, la mattina e soprattutto la sera. Andava a letto presto, ma si addormentava tardi. Respirava forte, ma piangeva piano. Aveva il brutto vizio di mordicchiare gli angolini dei cuscini quando piangeva o di farsi venire il vomito dal nervoso.

Aveva comprato una gatta finita l'Università. Lei si chiamava Chiara, era una gatta molto intelligente e le piaceva il sapore del sangue. Portava topini, sogni e speranze tra i denti affilati, lasciandoli come regalo per Lucia sul tappeto d'ingresso. Qualche volta Lucia si arrabbiava, altre volte le grattava dietro le orecchie e diceva a Chiara che era una gatta molto intelligente ma che Marco amava i cani.
Non glielo aveva mai chiesto, ma Marco era quel tipo di persona che ami anche se non avete nulla in comune, che odia il tuo colore preferito e si addormenta quando gli mostri le foto della tua infanzia. Non poteva parlare con Lui del suo libro preferito o della sua passione per il formaggio di capra. Magari un giorno poteva accennarle che le piaceva ballare il charleston, perché lo aveva visto in vecchi film da piccola ma sapeva che Lui le avrebbe riso contro.

Ma lo amava, ed era ragione più che sufficente per essere felice della propria incompatibilità. Alcune volte Lucia aveva paura che Marco l'avrebbe dimenticata. Allora andava alla posta e imbucava una cartolina per Marco e una per se stessa. Spesso arrivava prima quella per se stessa che per Marco e la cosa la faceva piangere. Ma si diceva che doveva essere forte ed accontentarsi perché l'amore ha i suoi tempi e così anche il servizio postale. Lo fece tre volte a Ottobre, quattro a Dicembre e a Gennaio solo una. A Febbraio provò, ma non arrivò nulla, il postino si scusò dicendo che forse era andato perso a causa della tormenta.

Agli inizi di Marzo di quell'anno Chiara miagolava disperatamente. Aveva molta fame e aveva già ucciso tutti i topolini e le speranze e i sogni che crescevano nel giardino di Lucia. Aveva lasciato i corpicini scarnificati in fila sul tappeto, come in un'esecuzione fascista di un romanzo della Resistenza. A volte aveva pensato di lasciare Lucia, ma sapeva che non sarebbe stato giusto. Infondo lei era una gatta molto intelligente e sapeva che la sua padrona aveva bisogno di lei. Forse non ora. Ora e per qualche altra settimana sarebbe ancora rimasta lì. Ma presto sarebbero arrivati i vermi a scavarle le interiora e le mosche a mangiarle la faccia. Ma Chiara non lo avrebbe permesso perché la sua padrona stava aspettando il suo vero amore, Marco, di cui le parlava sempre. Diceva che Marco le avrebbe ridato la gioia che non aveva avuto mai. La sua famiglia e i suoi amici non avevano mai voluto veramente vederla felice, non avevano mai pensato di fare qualcosa solo per Lei. Ma Marco lo avrebbe fatto.

Chiara credeva a Lucia, aveva visto le lettere, lei gliele aveva mostrate, e aveva visto l'anello d'argento con lo smeraldo di plastica che lei aveva nel porta bijou. Ora stringeva l'anello nella mano destra e le lettere erano sotto al viso, sgualcite e piene di rigangoli di inchiostro sciolto. La mano destra era penzoloni dal letto e Chiara ogni tanto ci passava sotto, per rubarle una carezza. Lucia gliene dava sempre tante. Doveva stare attenta perché la siringa vuota era rimasta incastrata alle dita e rischiava di farsi male. Era una gatta molto intelligente dopotutto e sapeva le cose del mondo. Conosceva i segreti dell'amore e l'importanza dell'amore vero. Sapeva che Lucia aspettava Marco, che l'avrebbe sempre aspettato. Avrebbe gettato figli, marito e gatto al vento per Lui.

1 commenti:

Il Riccio ha detto...

Tristezza :(
Da quanto tempo non venivo qui: sono cambiate tante cose.

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